Cagliari, 16 marzo 2025
Il progetto SIC! Sport, Integrazione, Coesione della UISP mira a valorizzare il ruolo sociale dello sport quale strumento di inclusione e coesione sociale, sostenendo la promozione della pratica sportiva e fisica, attività di sensibilizzazione e diffusione della cultura e dei valori dello sport. Lo facciamo grazie ad uno degli eventi sportivi più importanti che si svolgono a Cagliari: la Solo Womun Run.
Sveglia all’alba, giusto il tempo per un caffè veloce e recarsi nel Quartiere Fieristico a Cagliari, che ospiterà una marea rosa di 14.500 donne che si incontreranno, cammineranno, correranno, balleranno, rivendicheranno Diritti e Pari Opportunità, ma soprattutto faranno battere il cuore della solidarietà. Raggiungo in poco tempo l’area di ritrovo, il tempo promette bene dopo una vigilia bagnata e ventosa, un occhio all’identità visiva della UISP. Cominciano ad arrivare le prime donne rosa, trovo l’occasione magnifica per parlare, raccogliere, confrontare e raccontare storie per il Progetto SIC – Sport, Integrazione, Coesione del presidio Territoriale di Cagliari, si tratta di un evento che non sarà solo una corsa, ma un’occasione per condividere storie di vita, di resilienza e di forza, che celebrerà la solidarietà femminile e che sosterrà importanti cause sociali.
Questo straordinario evento sportivo, nei numeri e nei contenuti, è la Solo Women Run dell’associazione omonima affiliata UISP Cagliari APS, forte come sempre è la sua valenza sociale. La manifestazione sosterrà diversi progetti nel campo della responsabilità sociale promossi da realtà operative sul territorio.
I progetti 2025 della Solo Women Run sono sette:
Quante storie di persone giunte da ogni angolo della Sardegna, anche da luoghi lontani come Olbia (dalla provincia di Sassari), Ortueri, Jerzu, Tonara (dalla provincia di Nuoro), Terralba e Oristano (dalla provincia di Oristano), ma anche Pimentel, Guasila, Isili, Decimomannu, Assemini, Dolianova (dalla provincia del Sud Sardegna e dell’Area Metropolitana di Cagliari), oltre a tanti altri centri dell’isola e della provincia, in pullman organizzati o per conto proprio, e anche dal resto del continente, oltre a qualche straniero, tutti per incontrarsi e condividere una giornata speciale.
Ci immergiamo finalmente nell’onda rosa della Solo Women Run, un'aura di profumi e sentimenti avvolge l'ambiente, mentre i racconti svelano le loro emozioni e la voglia di raccontarle. Tra loro Zaira, una donna straordinaria che ha appena raggiunto il secolo di vita, esempio vivente di come la forza non abbia età. Anche Maria si è iscritta ma purtroppo non ci sarà perché reduce da due ictus, ha lottato per la riabilitazione, per parlare e camminare e con la sua forza c'è riuscita! Francesca presenta il progetto "Rimettiamoci sui tacchi", che aiuta le donne oncologiche a tornare a indossare i tacchi alti, portando un messaggio di positività e di voglia di rimettersi in gioco. Raffaella malata di cancro, è arrivata con tante amiche e ha raccolto molte iscrizioni. Tiziana, Emelina e Giuliana: persone non vedenti, hanno camminato insieme. Roberta, Luciana e Anna Barbara hanno lottato contro il cancro con forza e sorriso. La corsa è un momento di unione, forza e speranza per tutte le donne.
Raccontiamo la storia di Ilaria di Jerzu e di sua figlia Maria, affetta dalla sindrome rara di Cornelia de Lange, una rara malattia genetica. La famiglia ha affrontato un lungo percorso di diagnosi e riabilitazione, incontrando ostacoli e pregiudizi. Nonostante ciò, Ilaria ha scelto di vivere la disabilità di Maria con coraggio, impegnandosi attivamente per la sua inclusione, grazie anche al supporto dell'associazione Nazionale Cornelia de Lange. Ilaria è sposata con Moreno, ha altri tre figli, la sua famiglia non ha mai nascosto la storia di Maria ma l’ha vissuta sempre con coraggio. Un aspetto rilevante di questa storia è la difficoltà che Ilaria e Maria affrontano quotidianamente: “la disabilità è vista come un tabù, suscitando paura, pregiudizi, isolamento e commiserazione.” Mancano le tutele “Le istituzioni non sempre forniscono il supporto adeguato alle persone con disabilità e alle loro famiglie” ed esistono forti difficoltà nelle relazioni “Le persone con disabilità, come Maria, possono incontrare difficoltà nel costruire relazioni sociali, a causa della mancanza di apertura e accoglienza.” Questo rappresenta un profilo di esclusione sociale, dove la società non è ancora pienamente pronta ad accogliere le diversità, specialmente in un contesto come quello sportivo, dove la competizione e l'apparenza prevalgono spesso sull'inclusività. Ilaria sceglie di non subire la situazione ma di affrontarla a testa alta, cercando di “sensibilizzare le persone e far comprendere che la disabilità deve essere vista come parte della normalità”. La storia di Ilaria e Maria ci offre un segnale di speranza, dimostrando che attraverso l'apertura, l'accoglienza e la creazione di ambienti inclusivi, la società può evolvere e diventare più accogliente per tutti, indipendentemente dalle difficoltà individuali. Il sogno di Ilaria “è quello di vedere Maria autonoma e integrata nella comunità di Jerzu”, una visione di coesione sociale che rispecchia la filosofia del progetto SIC della UISP che mira a creare una società in cui ogni persona, senza esclusioni, possa sentirsi parte di un tutto e partecipare attivamente alla vita sociale e sportiva. Maria usa la Comunicazione Aumentativa Alternativa (CAA), un modo per aiutare chi come Maria ha difficoltà a parlare a farsi capire. Ilaria conosce quella comunicazione e con Maria l’ha sviluppata ed ha contribuito a svilupparla ed arricchirla con simboli sempre nuovi “Maria usa immagini, simboli o parole scritte, su carta o su computer. L'importante è che la persona possa esprimere ciò che vuole, aumentando la sua indipendenza e autostima.” Per funzionare bene, serve la collaborazione di esperti, famiglie e chi si prende cura della persona, e non sempre tutto questo avviene con fluidità, dalla teoria alla pratica tutto si complica. Maria e Ilaria hanno partecipato con grande entusiasmo alla Solo Women Run, da Jerzu sono scese con l’associazione “Fit & Dance”, in cui Maria partecipa attivamente, per il progetto “Rimettiamoci sui tacchi”, Maria è un esempio di lotta per l'inclusione in tutti gli ambiti della vita.
Riaffrontiamo la folla rosa che nel frattempo è diventata uno tsunami di entusiasmo, energia pura che trascina tutti. Raccogliamo le emozioni di Alessandra “ho 38 anni e faccio parte di un gruppo di donne che si ritrovano ogni settimana per fare attività fisica insieme, una specie di gruppo di sopravvivenza, perché tra lavoro, famiglia e mille altri impegni, il tempo per noi stesse è davvero poco. Quando ho sentito parlare della Solo Women Run ho subito pensato che fosse un’opportunità unica per il significato che portava. Mi sono avvicinata alla corsa in un periodo della mia vita un pò particolare. Ho perso mia madre qualche anno fa, e quel dolore l’ho vissuto come una montagna da scalare, una di quelle che sembra impossibile da affrontare. Ho iniziato a correre per sfogarmi, per sentirmi libera, ma anche per trovare un modo per mettere in ordine le cose nella mia testa. La Solo Women Run mi è sembrata un’occasione per fare qualcosa di bello, non solo per me, ma anche per tutte noi donne che siamo sempre in movimento, a dare senza mai fermarci.” Gli fa eco Anna, sua amica del cuore “A me è l’aspetto della solidarietà e dell’inclusione che mi colpisce molto oggi. Siamo tante, provenienti da posti diversi, siamo tutte unite dalla voglia di metterci in gioco. Non siamo donne perfette, abbiamo storie tutte diverse tra loro, a volte anche di difficoltà, ma non ci arrendiamo mai. Oggi è una festa della nostra forza, della nostra capacità di rinascere ogni giorno.”
Federica, invece, ha l’imbarazzo dell’emozione di chi non è abituata ad esprimere l’opinione in mezzo a tanti “Mi sono iscritta per sentirmi parte di qualcosa che va oltre il semplice atto sportivo. Partecipare a quell’evento significa dare voce anche a quelle donne che spesso sono invisibili, che lottano contro difficoltà, ma che continuano a camminare, a correre, a vivere con forza. E questa è la vera vittoria.”
Tra canti e balli di gioia coinvolgenti chiedo, tra le mille difficoltà in mezzo ad una massa in perenne movimento, quale sia il messaggio che si trasmette partecipando ad un evento esclusivamente femminile. Mi risponde Chiara “ho 45 anni, faccio parte di un'associazione che lavora con donne in difficoltà, molte delle quali hanno vissuto esperienze di violenza o discriminazione. Quando mi hanno parlato dell’evento Non Solo Women, ho subito pensato che fosse l’occasione giusta per fare qualcosa di significativo, non solo per me, ma anche per tutte le donne che non riescono sempre a trovare la loro voce. Il messaggio che spero di trasmettere partecipando a un evento esclusivamente femminile è che la forza di una donna non si misura solo con quello che fa in apparenza, ma con la sua capacità di rialzarsi, di combattere contro le difficoltà quotidiane e di trovare il coraggio di essere sé stessa. La società ci dice continuamente come dobbiamo essere, come dobbiamo comportarci, ma noi donne sappiamo che spesso tutto questo è falso, noi siamo più di quello che ci dicono di essere. Partecipare a un evento come questo è il nostro modo per dirlo, per farlo vedere. C'è anche un altro messaggio che mi ha spinto a partecipare, molto importante per me: la solidarietà. Ho visto troppe donne combattere da sole, pensare di dover fare tutto da sole, sono donne che a volte perdono la speranza. Le ho portate con me per dimostrare loro che non sono sole, che tutte insieme possiamo fare la differenza. Siamo una forza quando ci uniamo, la nostra forza è anche la nostra capacità di supportarci a vicenda.”
Parte la camminata ludico motoria, che anticipa di qualche ora la corsa, mi faccio spazio tra la folla lungo il cammino che porta all’uscita delle strutture della Fiera campionaria della Sardegna. Fra le tante impatto nei pressi di Marta di 38 anni e le chiedo se abbia mai vissuto in passato una storia di discriminazione che l’abbia fatta stare male e come l'ha superata! “Oggi lavoro come educatrice in una scuola media. Devo tornare indietro nel tempo, alla mia adolescenza, quando le donne non giocavano a calcio con la facilità di oggi, all’epoca era uno sport che mi piaceva tanto. Crescendo in un piccolo paese della provincia il pregiudizio era comune per queste cose, mi è sempre stato detto che le ragazze non giocano a calcio, che era uno sport da maschi. Per un pò ho cercato di soffocare questa passione, perché non volevo sentirmi diversa. Il primo periodo è stato difficile, dovevo sopportare le battute, i pregiudizi, le risate dietro le spalle, mi facevano stare male, molto male. Mi sentivo un pò fuori posto, come se stessi facendo qualcosa di sbagliato solo perché mi piaceva praticare quello sport assieme ai miei amici maschi. Non stavo facendo niente di male, ma il modo in cui alcune persone vedevano le donne la vivevo come una discriminazione. Poi, con il tempo, ho anche imparato a ignorare le parole di chi non aveva niente di meglio da dire.” Perché hai scelto di stare zitta di fronte alle difficoltà? “All’inizio la reazione fu quella, poi decisi di tagliare le funi che mi tarpavano le ali e ho scelto di far sentire la mia voce, avevo capivo col tempo che la vera discriminazione stava nel silenzio!” E poi come andò a finire? “Ho trovato anche un gruppo di ragazze con cui giocare a calcio, ci siamo supportate, ogni volta che ci allenavamo, ci sentivamo più forti, più sicure di noi”. Ecco perché è giusto ogni volta mettersi in gioco, facendo così è stato per voi un piccolo passo verso il superamento della discriminazione? “Si” dice Marta “Non è mai facile, ma se non cominciamo noi a cambiare le cose, nessun altro lo farà.”
Mi fermo, lascio scorrere il fiume di donne davanti a me, attendo qualche secondo per cercare un altro gruppo e chiedo chi pensa che l'esser donna influisca in qualche modo nel modo in cui approcciano allo sport ed eventualmente in che modo! Risponde Annamaria di 34 anni, una volontaria di una piccola associazione che promuove i valori positivi dello sport, inclusi i più giovani e le persone con disabilità “È più una questione di come la società ci ha insegnato a vedere lo sport in modo diverso, a seconda di chi siamo. Da ragazza, ricordo benissimo come spesso mi veniva detto che le attività sportive per ragazze dovevano essere più leggere, più eleganti come la ginnastica, meno competitive diciamo. Abbiamo dovuto fare molta fatica per farci strada in ambienti dove, in qualche modo, non eravamo viste come adeguate a certi tipi di sport. Ecco perché mi sono sempre sentita come se dovessi dimostrare che anche le donne potevano essere forti e competitive. Quando ho iniziato a fare sport seriamente, ho visto quanto fosse difficile, non tanto fisicamente, ma mentalmente, superare i pregiudizi, soprattutto quelli che sono i più pericolosi.” Quindi sei stata influenzata in generale? “Sì, essere donna ha influenzato il mio approccio allo sport, ma anche in modo positivo. Mi ha spinto a cercare ambienti che fossero più inclusivi, lo sport non deve avere etichette del tipo questo è per uomini e questo per donne, non c’è un solo modo giusto per fare sport.”
Cosa pensi che possa cambiare nella società se le donne fosse più visibili in tutti gli sport? Alla mia domanda risponde Laura di 42 anni, mamma di due bambine, che si definisce un’appassionata di sport “Se le donne fossero più visibili in tutti gli sport credo che ci sarebbe una vera e propria rivoluzione. La società inizierebbe a guardare lo sport in modo diverso. Immaginati di vedere in TV una gara di Rugby femminile o di Automobilismo dove sono le donne a guidare esattamente come accade per i loro maschi. La visibilità farebbe cadere quelle barriere invisibili che da sempre ci limitano.” Mentre Laura parla con enfasi penso tra me all’esempio dell’automobilismo per donne, e in cuor mio, sinceramente, penso che io stesso non ci avevo mai pensato. Continua Laura “Lo sport diventerebbe davvero per tutti, senza distinzioni. In un mondo dove le donne sono più visibili nello sport, non solo le ragazze si sentirebbero più incluse, ma anche gli uomini comincerebbero a fare meno battute pessime sulle donne.” E come darle torto, non hanno le stesse potenzialità, la stessa passione, lo stesso desiderio di mettersi in gioco degli uomini? “Le donne sono viste dalla società, e anche dalla stessa famiglia di origine, come quelle che si occupano della casa o della famiglia, dell’educazione dei figli, la visibilità delle donne nello sport potrebbe davvero far cambiare la società in meglio. Lo sport è anche un linguaggio universale che ci aiuta a farci vedere, a farci sentire, e a dimostrare che siamo tutte capaci di fare grandi cose.” La determinazione di Laura è ammirevole, è una forza della natura, se avessimo più donne con la determinazione di Laura e più donne in ogni sport effettivamente la mentalità collettiva cambierebbe, e forse riusciremmo a vedere tutti come individui e non come uomini e donne.
Voglio raccontare anche la storia di Sara di 32 anni che si sente discriminata come persona con disabilità. “Vivo con una disabilità motoria che mi ha sempre accompagnata. Una delle cose che mi fa più male è quando mi sento invisibile, come se la mia disabilità fosse un ostacolo che mi rende diversa, ma non in un modo positivo.” Puoi farci capire meglio Sara, cosa intendi per invisibile? “Quando si tratta di sport, ad esempio, non è solo una questione di accessibilità fisica, ma di mentalità. Spesso, quando partecipo a eventi, mi sento come se dovessi giustificare la mia presenza. Molti si aspettano che io sia un esempio di forza o qualcosa di speciale solo per essere riuscita a fare qualcosa che per altri è scontato.” Ed invece? “Ed invece nessuno pensa a quanto sia frustrante essere trattata come una specie di eroe solo perché vado a fare una corsa, o partecipo a una partita di pallavolo. Io non voglio essere speciale, io voglio semplicemente partecipare, esattamente come chiunque altro.” Io, tecnico di professione, metto il dito sulla piaga sulla questione dei luoghi fisici che non sono pensati e progettati completamente per persone con disabilità, immaginandomi già la risposta che può darmi Sara “Immaginiamo di entrare in un centro sportivo pubblico e scoprire che l'ingresso non è adatto a te, le rampe non sempre sono adatte, i servizi igienici non sempre sono accessibili, però c’è il cartello che indica che sono per disabili, un modo come un altro per lavarsi la coscienza.” E magari ti chiedi come mai non si siano fatti dei piccoli sforzi per rendere quel posto davvero aperto per tutti. Eppure non è un dettaglio insignificante: è come sentirsi dire che il mondo non è per te, che il tuo bisogno di partecipare è secondario. Sara mi chiede cosa sia questo progetto SIC e si rallegra del fatto che esistano progetti così importanti “La discriminazione non è solo nei posti fisici, però. Credo che sia anche nel modo in cui molte persone mi vedono, come se la mia disabilità definisse tutta la mia vita. Mi è capitato di partecipare a corsi di yoga, mi trattavano come se fossi una persona fragile, come se ogni movimento che dovessi fare fosse un miracolo sportivo. Io non voglio essere trattata con pietà, ma con la stessa serietà con cui si tratta chiunque altro. C’è l’idea che le persone con disabilità non possano essere davvero autonome, davvero sportive, davvero qualsiasi cosa, rimane un pregiudizio che rimane come una cicatrice.” Parliamo insieme ancora del progetto e lei puntualizza come sia estremamente importante nella vita sportiva “sentirsi finalmente parte di un ambiente che non mi giudica, che non mi vede solo come persona disabile ma come atleta, come persona che sta cercando di dare il meglio di sé, senza dover giustificare per forza la mia presenza, senza dover sentire che la mia disabilità come una barriera.” Questo è il tipo di cambiamento che auguriamo a tutti coloro che vivono come Sara lo stesso disagio.
Testimone dello spettacolo rosa intravedo Marco di 36 anni, pratica il calcio, la sua compagna partecipa alla Solo Women Run. Gli chiedo come reagirebbe se l'allenatore del suo sport che pratica fosse donna? Lui risponde così col sorriso sulle labbra: “Devo ammettere che, a volte, ci sono ancora pregiudizi che ci condizionano. Però ormai, con gli anni, ho visto cambiare un pò le cose. Ho conosciuto allenatori donna in altri sport, per esempio nel volley, e devo dire che sono sempre stati molto preparati, competenti, e capaci di tirarti fuori il massimo, proprio come qualsiasi uomo. Se il mio allenatore fosse una donna, non ci sarebbe nemmeno bisogno di pensarci due volte: mi concentrerei solo su quello che ha da insegnarmi, su come mi aiuta a crescere e a migliorare. Purtroppo, c'è ancora gente che, quando pensa a un allenatore, automaticamente immagina un uomo. Ho un’amica che si chiama Francesca, che ha preso una squadra di ragazzini e li ha portati a vincere. Non c’era niente di strano in questo, è una donna che ha molta passione in quello che fa, è competente, e sa comunicare meglio coi per far crescere i ragazzi.” Come pensi Marco che l'ingresso di più donne nei ruoli di potere cambierebbe il mondo dello sport? “Le donne hanno una visione diversa, spesso sono più empatiche, possono davvero fare la differenza nella gestione degli atleti e delle atlete, e come vengono promossi e valorizzati i loro talenti. Lo sport forse diventerebbe meno esclusivo, più equo, e forse finalmente più rispettoso delle persone che lo vivono ogni giorno, a qualsiasi livello. Un pò come una madre fa con i propri figli.”
Alla fine di questo viaggio non potevamo non chiedere al neo Presidente di UISP Cagliari APS, Andrea Culeddu, un pensiero sull’intensa giornata di sport vissuta nella giornata di ieri. Cosa pensi Andrea del connubbio perfetto tra i valori del Progetto SIC della UISP e della Solo Women Run? “Siamo entusiasti di vedere come il progetto SIC della UISP di Cagliari e quello della Solo Women Run si intreccino nelle loro mission, creando una sinergia che celebra il suo valore come strumento di cambiamento sociale. L’unione fa la forza, il nostro impegno nasce dalla volontà di fare rete tra associazioni che operano in contesti diversi, ma se ci pensiamo bene sono complementari tra loro. Questa rete ci permette di unire forze, risorse ed esperienze per creare un impatto maggiore e duraturo nel tempo. La collaborazione tra il Progetto SIC e la Solo Women Run è fondata proprio su questa filosofia, che fa della cooperazione il nostro punto di forza. Lo sport ha una funzione straordinaria nel tessuto sociale. tutti sappiamo che è un potente mezzo di inclusione, di integrazione e di sensibilizzazione. Il nostro obiettivo è stato quello di sfruttare questo potenziale per dare voce a chi, spesso, non ha occasione di farsi ascoltare. Ogni partecipante diventa parte di una comunità che trova nello sport un motivo per esprimere le proprie difficoltà, le proprie gioie e i propri sogni. Un altro aspetto fondamentale del nostro progetto è la trasversalità. Da sempre, la UISP si è distinta per un approccio che abbraccia tutte le età, dai piccoli alle centenni come Zaira, e tutte le categorie sociali. Ogni persona ha diritto di sentirsi parte di un movimento che celebra l’inclusività e la solidarietà. La UISP e la Solo Women Run insieme sono pronti a scrivere nuove pagine di storia per la dignità di ogni persona.”
Tanti racconti, riflessioni, testimonianze, pensieri spiccioli che evidenziano come la Solo Women Run non sia stata solo una manifestazione sportiva, è un potente messaggio di inclusione e di lotta contro ogni forma di discriminazione che il Progetto SIC ha Cagliari aveva il dovere di raccogliere per mettere in luce le sfide che le donne affrontano quotidianamente, ma anche la loro straordinaria capacità di superarle. Un evento che ha dimostrato come lo sport possa essere uno strumento di cambiamento sociale, un veicolo per promuovere l'uguaglianza e la solidarietà, un motivo per creare cosesione sociale che accoglie e non esclude.
Le 14.500 donne di Cagliari hanno lanciato un messaggio chiaro: la forza delle donne è una marea inarrestabile, pronta a travolgere pregiudizi e barriere, per costruire un futuro di pari opportunità e rispetto reciproco.
Fieri di esserci stati, fieri di avervelo raccontato!
[da Cagliari, Pietro Casu, responsabile del Progetto SIC del presidio territoriale di Cagliari - progettosic@uispcagliari.it]
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